L’attività fisica (al posto dei farmaci) permette di ridurre notevolmente la depressione
Tratto da “INDAGINE SU UN’EPIDEMIA” di Robert Whitaker, edizioni Giovanni Fiorini Editore
All’inizio del 1800, gli americani consultavano abitualmente un libro di consigli medici, che era stato scritto da un medico scozzese, William Buchan.
Nel suo libro, Domestic Medicine, raccomandava questo semplice rimedio per la malinconia: il paziente dovrebbe fare attività fisica all’aria aperta quanto più gli è possibile… un programma di questo tipo, associato a una stretta attenzione alla dieta, è un metodo di cura molto più sensato di quanto non sia rinchiudere il paziente e rimpinzarlo di medicine.
Due secoli dopo, le autorità mediche inglesi hanno riscoperto la saggezza di questa sua raccomandazione.
Nel 2004, infatti, il National Institute for Healt and Clinica Evidence (NICE), che svolge la funzione di organo di consultazione e indirizzo per il National Healt Service, ha stabilito che “gli antidepressivi non sono consigliabili nel trattamento iniziale della depressione lieve, perché il rapporto rischi/benefici è sfavorevole“.
In alternativa, i medici devono suggerire ai loro pazienti delle alternative non farmacologiche ed esporre “a tutti i pazienti, di qualsiasi fascia di età, che soffrano di forme lievi di depressione, gli effetti benefici di un programma strutturato di attività fisica, sotto la supervisione di un istruttore”.
I medici di medicina generale del Regno Unito oggi possono, quindi, prescrivere un ciclo di attività fisica.
Andrew McCulloch, direttore esecutivo della Mental Healt Foundation, un’organizzazione benefica con sede a Londra che ha promosso il ricorso a quest’alternativa, mi dice che: “Le prove di efficacia che sostengono il ricorso all’esercizio fisico come trattamento per la depressione sono convincenti… è efficace, anche, nella riduzione dell’ansia, oltre a migliorare l’autostima, la capacità di controllo dell’obesità, ecc… Ha effetti positivi ad ampio spettro“.
L’attività fisica (al posto dei farmaci) permette di ridurre notevolmente la depressione
In termini di efficacia a breve termine, come antidepressivi, le ricerche disponibili hanno dimostrato che l’attività fisica determina “miglioramenti sostanziali” nell’arco di sei settimane, che l’ampiezza degli effetti positivi è notevole, e che la percentuale di pazienti depressi che risponde positivamente a un ciclo di attività fisica è del 70%.
Alcuni ricercatori tedeschi, nel 2008, hanno sottolineato che: “Questi tassi di risposta positiva sono davvero degni di nota”.
Inoltre, l’attività fisica, con l’andare del tempo, comporta una serie numerosa di “effetti collaterali positivi“:
- migliora la funzionalità cardio-vascolare
- migliora il tono muscolare
- abbassa la pressione arteriosa
- migliora le capacità cognitive.
Le persone dormono meglio, hanno migliori prestazioni sessuali e, in più, sono più attivi sul piano sociale.
Quando e come vanno usati gli psicofarmaci?
La domanda più importante che bisogna porsi rispetto agli psicofarmaci è questa: Quando e come vanno usati?
I farmaci possono attenuare i sintomi, a breve termine, e ci sono persone che raggiungono – grazie ai farmaci – una buona stabilità a lungo termine: per queste ragioni i farmaci possono possono entrare nella cassetta degli attrezzi della psichiatra.
E’ chiaro, tuttavia, che un modello di trattamento fondato sull’uso ottimale dei farmaci presupporrebbe che il mondo della psichiatria, la NAMI, e il resto degli attori in gioco assumesse un atteggiamento di onestà intellettuale e scientifica nel valutarne i vantaggi e nel dare informazioni in proposito all’opinione pubblica.
La psichiatria dovrebbe riconoscere che continuano a essere sconosciute le cause biologiche dei disturbi mentali.
Dovrebbe ammettere che, anziché rimettere a posto degli squilibri chimici cerebrali, i farmaci producono alterazioni del normale funzionamento delle principali vie neurotrasmettitoriali.
Dovrebbe smettere di occultare i risultati degli esiti a lungo termine, che segnalano che i farmaci hanno peggiorato l’evoluzione e il decorso a lungo termine.
Se la psichiatria arrivasse a prendere questo insieme di decisioni, potrebbe impegnarsi a capire quale sia la forma di utilizzo più saggia e prudente che può fare di essi; in quel caso, ognuno di noi avrebbe la possibilità di capire l’utilità di approcci terapeutici alternativi, che non so fondo sull’uso dei farmaci o che ricorrono ad essi in modo limitato.
Nel suo libro del 1992, How to Become a Schizophrenic, John Modrow, che ha ricevuto una diagnosi di questo tipo, si è domandato: “Come possiamo dunque aiutare gli schizofrenici“?
La risposta è semplice: smettiamola con le bugie!