Effetti infausti, a lungo termine, delle benzodiazepine
Tratto da “INDAGINE SU UN’EPIDEMIA” di Robert Whitaker, edizioni Giovanni Fiorini Editore
Una volta che i ricercatori statunitensi e inglesi avevano chiarito la mancanza di efficacia delle benzodiazepine, http://www.ipsico.it/psicofarmaci/benzodiazepine-e-ansiolitici/, nel fornire un sollievo duraturo all’ansia, non poteva che sorgere una domanda: l’assunzione continuativa di questi farmaci potrebbe provocare un “peggioramento” dei sintomi che ci si aspetta che dovrebbe curare?
Nel 1991, Karl Rickels, dell’Università della Pennsylvania descrisse l’andamento di un gruppo di pazienti con disturbi d’ansia che avevano provato a sospendere le benzodiazepine tre anni prima: quelli che c’erano riusciti stavano “significativamente” meglio di quelli che non ci erano riusciti.
Alcuni anni dopo, riportò le conclusioni di una nuova ricerca: quando le persone che assumevano benzodiazepine da molto tempo arrivavano a sospenderle, “diventavano più vigili, più rilassati e meno ansiosi e questo cambiamento era accompagnato da un miglioramento delle funzioni psicomotorie”.
Quelli che continuavano il trattamento con benzodiazepine manifestavano maggiori problemi emotivi di quelli che le sospendevano.
Altri gruppi di ricerca confermarono questi risultati.
In uno studio canadese il ricorso alle benzodiazepine aumentava di quattro volte il rischio di comparsa di sintomi depressivi, mentre in Inghilterra il gruppo della Ashton mise in evidenza un graduale peggioramento dei disturbi d’ansia per coloro che proseguivano il trattamento con benzodiazepine.
Molti pazienti segnalano un aumento graduale negli anni dei sintomi dell’ansia nonostante l’uso continuativo di benzodiazepine, con la comparsa – per la prima volta – di attacchi di panico e agorafobia.
Questi studi indicavano un decorso molto problematico a lungo termine e, nel 2007, alcuni ricercatori francesi valutarono 4.425 persone che assumevano benzodiazepine da molto tempo e scoprirono che il 75% di questo campione presentava una sintomatologia ansiosa moderata o grave, in particolare episodi depressivi maggiori e disturbo d’ansia generalizzata, spesso di entità accentuata.
Al di là dei disturbi emotivi, l’uso a lungo termine di benzodiazepine determina anche problemi cognitivi.
Inizialmente vennero segnalati problemi di memoria connessi all’uso a breve termine di questi farmaci e, nel 1976, David Knott, dell’Università del Tennessee, scriveva: “Sono assolutamente convinto che il diazepam, il clordiazepossido e gli altri farmaci di questo tipo provocano danni a livello cerebrale. Ho registrato alterazioni alla corteccia cerebrale che ritengo dovuti all’uso di questi farmaci e comincio a chiedermi se non si tratti di danni permanenti”.
Nei venticinque anni successivi, le riviste scientifiche hanno pubblicato in modo regolare segnalazioni o contributi sulla compromissione delle funzioni cognitive in soggetti che usavano le benzodiazepine per lunghi periodi di tempo.
I problemi cognitivi riguardavano l’attenzione, la memoria, la capacità di apprendimento, la soluzione di problemi.
Lader segnalò che i pazienti “non erano consapevoli di questi deficit” e ciò testimoniava che anche le loro capacità di auto-osservazione erano compromesse.
Nel 2004, un gruppo di ricercatori australiani, dopo aver riesaminato la letteratura disponibile, giunse alla conclusione che “i pazienti in trattamento a lungo termine con benzodiazepine avevano prestazioni costantemente inferiori rispetto ai soggetti non trattati su tutti i parametri cognitivi considerati”, con livelli “moderati o gravi” di deficit; tanto maggiore era la dose e la durata di utilizzo, tanto maggiori erano i rischi di compromissione.
Ansia elevata, intensa depressione e compromissione cognitiva: tre fattori che contribuiscono a limitare la capacità di funzionamento sociale di una persona.
Nel 1983, l’OMS sottolineò un “impressionante deterioramento nella cura personale e nelle interazioni sociali” in chi utilizza benzodiazepine per lunghi periodi.
Un altro studioso sottolineò la compromissione delle capacità di adattamento (coping).
In uno studio finanziato dalla Hoffmann-LaRoche, produttrice del Diazepam, i ricercatori dell’Università del Michigan segnalarono che l’assunzione di questo farmaco era “associata con una scarsa qualità di vita, un basso rendimento lavorativo, e nella vita personale, un ridotto supporto sociale, una perdita della capacità di controllo interiore, una bassa salute percepita ed alti livelli di stress”.
Secondo Ashton, l’uso a lungo termine provocava “malessere, salute malferma ed un eccesso di tratti nevrotici” oltre a favorire “i licenziamenti, la disoccupazione e i periodi di assenza dal lavoro per malattia“.
Questo è quanto dice la letteratura scientifica sulle benzodiazepine: la sintesi può essere facilmente tracciata con l’aiuto del dottor Stevan Gressitt, attuale direttore medico degli Adult Menthal Heat Serices nel Miane.
Nel 2002, Gressitt contribuì a formare il Maine Benzo Study Group, che era composto di medici e altri professionisti sanitari; le conclusioni di questo gruppo furono queste: “non ci sono prove scientifiche a supporto dell’uso a lungo termine di benzodiazepine per qualsiasi problema di salute mentale”.
Le benzodiazepine possono “aggravare” sia i problemi di salute fisica sia quelli di salute mentale
In un’intervista al dottor Gressitt, gli chiesi se tra i problemi di salute mentale a cui si accennava nelle conclusioni rientrassero l’aumento dell’ansia, la compromissione cognitive il ridotto funzionamento sociale.
Volevo sapere se c’era uniformità tra la mia e la sua interpretazione della letteratura scientifica. “Non ho motivo per contraddirla né per contestare le sue affermazioni” – così mi rispose.