La diffusione degli psicofarmaci impedisce di eliminare il problema alla radice
“Una piccola dose di cocaina mi ha sollevato all’altezza di visioni fantastiche. E’ una sostanza magica“. Freud
Così scriveva Freud, il padre della psicoanalisi che usò la cocaina per circa tre anni, alla fidanzata Marta, anche se il suo entusiasmo si raffreddò notevolmente dopo un’esperienza sotto l’influenza della droga.
Durante tale esperienza, fra l’altro, dice di aver avuto “allucinazioni costituite da formiche, insetti o serpenti sopra e sotto la pelle”.
Questo sintomo è classico fra i consumatori abituali di cocaina e viene normalmente definito “sintomo delle bestioline”, oppure “zoopsie”, in quanto il cocainomane cronico vede spesso piccoli punti neri muoversi sui vestiti e sulla pelle e li scambia per insetti e pulci e finisce con l’avvertire un fastidio intollerabile.
La cocaina, come il crac ed altre sostanze eccitanti quali le anfetamine, è un forte stimolante del sistema nervoso centrale ed, in particolare, della corteccia, anche se, agli effetti stimolanti fa, tuttavia, seguito, quasi sempre, uno stato depressivo che spinge a ricercare la piacevole ebbrezza indotta da queste droghe nella loro fase iniziale.
Cosa succede quando si assumono droghe?
L’ebbrezza da cocaina o da crac è tanto più intensa quanto più rapida è la modalità di assunzione delle droghe ed è caratterizzata da:
- una prima fase in cui si verifica uno stato di euforia, di disinibizione comportamentale e di scomparsa della fatica
- una seconda fase che comprende uno stato di confusione mentale e allucinazioni tattili e visive, quali, appunto, gli insetti della descrizione di Freud, al quale subentra, poi, uno stato di depressione e sonnolenza.
Diverse molecole chimiche, mediatori e modulatori nervosi condizionano la nostra vita emotiva producendo sensazioni piacevoli o d’ansia, stati maniacali o depressivi.
Fortunatamente, oggi, le neuroscienze consentono di comprendere quali sono gli esatti correlati biochimici della nostra vita emotiva e di stabilire quali circuiti nervosi sono coinvolti nei nostri comportamenti di base e nei loro disadattamenti.
Infatti, nel corso degli ultimi decenni, sono stati introdotti diversi farmaci attivi sul comportamento, che hanno avuto una larga diffusione soprattutto nei paesi industrializzati.
Quali sono gli psicofarmaci più usati?
Tra questi psicofarmaci, i più usati sono, indubbiamente, le benzodiazepine, una numerosa famiglia di sostanze dotate di azione “tranquillante “ piuttosto che ansiolitica, mentre i farmaci antidepressvi vengono al secondo posto per quanto riguarda il consumo di psicofarmaci, contribuendo, così, insieme con gli ansiolitici, a delineare un fenomeno sociale denso di risvolti.
E’ sufficiente pensare che, intorno all’inizio degli anni Ottanta, soltanto negli USA, sono state vendute mille tonnellate di benzodiazepine a cinquantacinque milioni di persone.
La quantità di farmaci venduti, ovviamente, non implica che essi vengano, effettivamente, consumati, soprattutto quando si tratta di psicofarmaci, ma questo non modifica, di fatto, le cose, in quanto, comunque, le cifre sono ugualmente impressionanti
Nel 1980 sono stati venduti ansiolitici per ottocento milioni e antidepressivi per seicento milioni di dollari e queste cifre indicano come il mercato degli psicofarmaci rappresenti un fenomeno da seguire con attenzione, sia come spia di un vasto disagio comportamentale, sia in termini di abuso farmacologico e di eccessiva “medicalizzazione“ della società.
Molti hanno sottolineato, alquanto giustamente, come la diffusione degli psicofarmaci debba essere considerata come un pericoloso tentativo di “edicalizzare” il disagio individuale, controllandolo con farmaci, anziché tentando di eliminarlo alla radice.
Però in molti casi, gli stati d’ansia non hanno origini sociali e derivano da tensioni familiari, da eventi dolorosi o da problemi personali difficilmente risolvibili e hanno alla base uno stato di disagio e sofferenza che l’individuo tenta di lenire ricorrendo allo psicofarmaco.
Il senso comune e la medicina hanno, da tempo, sostenuto che, in occasione di stati depressivi e di turbe dell’umore, l’organismo è più vulnerabile e può andare, addirittura, incontro a processi neoplastici.
Questo tipo di affermazioni non è mai stato documentato da spiegazioni sufficientemente esaurienti, mentre altri risultati, molto più recenti, sugli effetti di farmaci ansiolitici quali, appunto, le benzodiazepine, hanno indicato che sistema nervoso e sistema immunitario dialogano fra di loro
Questo dialogo può alterarsi al punto da portare ad una depressione del sistema immunitario tale da consentire l’azione aggressiva dei batteri e forse da rendere attivi virus latenti nel nostro organismo, come avviene per alcuni tumori.
Una linea di demarcazione netta tra psiche e corpo
Il mondo delle emozioni, dei disturbi dell’umore e degli shock psicologici era da un lato e quello delle malattie degli organi di origine degenerativa, infettiva o tumorale, dall’altro. Certamente, si parlava anche di malattie psicosomatiche, come, ad esempio, di attacchi asmatici nei bambini, di ulcere gastriche da stress, di ipertensione da surmenage o da situazioni conflittuali.
Se ne parlava molto poco e con un certo ritegno, in quanto, questo settore, sospeso a metà tra psiche e corpo, veniva considerato come un campo che sfuggiva alle regole consolidate della biologia, aperto alle teorie dei ciarlatani e venditori di fumo.
Addirittura, qualora qualcuno avesse accennato a possibili rapporti tra psiche e suscettibilità, oppure a resistenza alle malattie infettive o neoplastiche, il disagio sarebbe stato ancora più evidente e questo solo per dire come la psicosomatica venisse considerata una bestia nera ed i rapporti tra psiche e soma venissero tollerati, ma non legalizzati
In questi ultimi anni, invece, si stanno accumulando dati sempre più schiaccianti secondo i quali i legami che uniscono la nostra psiche ai processi fisiologici e patologici del nostro corpo sono decisamente saldi e concreti e non vaghi e fumosi come quelli un tempo invocati, ma non provati, anzi, in questi ultimi anni, si stanno, addirittura, consolidando nuove discipline accademiche, quali la psiconeuroimmunologia che dimostrano come il vecchio adagio, mens sana in corpore sano, possa essere letto anche al contrario.