Disturbi psicotici e schizofrenia
Nella mia attività di psicologo a Casale Monferrato, molte volte mi è stato richiesto un intervento a proposito di malati di gravi disturbi psicotici quali, ad esempio, la schizofrenia.
Non essendo di mia competenza l’opportunità di seguire questo tipo di patologie, non ho seguito direttamente il paziente.
Ho notato che quasi sempre, le lamentele che i parenti ed il paziente stesso mi esponevano erano relative alla non guarigione e alla comparsa di notevoli sintomi collaterali in virtù dell’assunzione di certi farmaci.
Non essendo in grado di confutare queste affermazioni, mi sono limitato ad ascoltarle, pur rendendomi conto della gravità, nonché della disperazione nelle quali versavano le condizioni di queste persone.
Pur non avendo potuto essere loro di un qualsiasi aiuto, diciamo che mi sono appassionato all’approfondimento dello studio sull’uso di certi farmaci antipsicotici e non e, per esempio, sempre citando, Robert Whitaker in “Indagine su un’epidemia”, ho potuto osservare che, effettivamente, alcune riflessioni sarebbero più che necessaria.
Ad esempio, proprio sull’ottenimento di guarigioni attraverso l’uso di certi psicofarmaci, appunto questo autore dice:
“Una valutazione dell’impatto degli psicofarmaci sui tassi di disabilità è facile. Per quanto riguarda la schizofrenia, nei dieci anni precedenti all’introduzione della clorpromazina, il 75% delle persone al primo episodio psicotico venne dimesso dall’ospedale entro diciotto mesi e la maggior parte di esse non venne più ricoverata negli anni successivi.
Dopo l’introduzione della clorpromazina, i ricercatori confermarono risultati analoghi tra coloro che non ricevevano farmaci.
Rappaport, Carpenter e Mosher scoprirono che la metà circa dei pazienti schizofrenici aveva un’evoluzione piuttosto positiva se non seguiva un trattamento farmacologico continuativo.
Questo trattamento è diventato, invece, lo standard attuale, anche se – come ha dimostrato lo studio di Harrow – solo il 5% dei pazienti che seguono questo tipo di trattamento guarisce.
In questo momento, si stima che ci siano 2 milioni di persone disabili con una diagnosi di schizofrenia, negli Stati Uniti: queste cifre potrebbero forse essere dimezzate se venisse adottato un modello di trattamento che si fondi su un uso prudente e selettivo di questi farmaci.
Per quanto riguarda i disturbi dell’umore, gli effetti iatrogeni (conseguenza di una terapia) dell’attuale modello di trattamento sono ancora più evidenti.
In passato, l’ansia veniva considerata un disturbo lieve, che raramente rendeva necessario un ricovero.
Oggi, i giovani adulti che ricevono una pensione d’invalidità e hanno un disturbo d’ansia come diagnosi principale sono l’8%.
Anche l’evoluzione dei disturbi depressivi veniva considerata positiva: nel 1955 c’erano solo 38 mila persone ricoverate per depressione e ci si aspettava che il disturbo andasse incontro a guarigione.
Al giorno d’oggi, la depressione maggiore è la causa principale di disabilità psichiatrica, negli Stati Uniti, nella fascia di popolazione tra i 15 e i 44 anni.
Si dice che siano 15 milioni le persone disabili e, secondo la Johns Hopkins School of Public Healt, il 60% di esse presenta un quadro di “grave compromissione” delle proprie capacità.
Per quanto riguarda il disturbo bipolare, ci troviamo di fronte a una patologia che, prima, era molto rara e poi è diventata estremamente frequente.
Secondo il NIMH, oggi ne soffrono circa 6 milioni di americani. In passato l’85% di essi aveva un decorso favorevole e tornava al lavoro, mentre ora solo un terzo dei pazienti bipolari recupera livelli di buon funzionamento sociale; a lungo termine i pazienti bipolari che proseguono in modo continuativo i farmaci, si ritrovano ad avere livelli di disabilità analoghi a quelli della schizofrenia (se trattata con gli antipsicotici).
I ricercatori della Johns Hopkins hanno stimato che l’83% di essi presenta una grave compromissione delle proprie capacità.
Tiriamo le somme: nel 1955 erano 56 mila i pazienti ricoverati negli ospedali psichiatrici per un disturbo d’ansia o per un disturbo maniaco-depressivo.
Oggi, secondo il NIMH, almeno 40 milioni di adulti soffrono di questi disturbi dell’umore.“
A questo punto, l’Autore prosegue con una definizione piuttosto dettagliata delle conseguenze degli psicofarmaci sull’organismo
“Immaginate che un virus compaia improvvisamente nella nostra società e che questo virus porti a dormire 12-14 ore al giorno.
Le persone che ne vengono contagiate presentano movimenti rallentati e sembrano emotivamente assenti.
Molte ingrassano vistosamente, di 50, 100 e anche 150 chili. Spesso, la glicemia e il colesterolo aumentano.
Un certo numero di persone colpite da questo misterioso virus, compresi bambini e adolescenti, diventano diabetici in poco tempo.
Nella letteratura scientifica compaiono segnalazioni di pazienti morti per pancreatite.
Giornali e riviste cominciano a pubblicare articoli su questa nuova piaga, che viene definita come “patologia da disfunzione metabolica“ e i genitori entrano nel panico all’idea che i propri figli possano esserne colpiti.
Il governo federale stanzia centinaia di milioni di dollari per i ricercatori delle migliori università per decifrare il funzionamento del virus ed essi segnalano che la disfunzione deriva dal blocco di una moltitudine di recettori dei principali neurotrasmettitori cerebrali: dopaminergici, serotoninergici, muscarinici, adrenergici e istaminici.
Tutte queste vie neuroni del cervello sono danneggiate. Contemporaneamente, gli studi con la risonanza magnetica dimostrano che, nel corso degli anni, il virus provoca atrofia della corteccia cerebrale con un conseguente declino cognitivo.
L’opinione pubblica è terrorizzata e pretende una soluzione. Ora, questa malattia ha, di fatto, colpito milioni di bambini e adulti americani.
Abbiamo appena descritto, infatti, gli effetti dell’olanzapina, l’antipsicotico che è primo nelle vendite della Eli Lilly (multinazionale farmaceutica di origine statunitense)”.