Effetti collaterali da psicofarmaci
“Conoscere le caratteristiche di una patologia significa, in genere, individuarne tutti i sintomi e seguirne il decorso nel tempo… per anni abbiamo concentrato la nostra attenzione soprattutto sul peggioramento a lungo termine della sintomatologia psichiatrica, facendo solo qualche cenno del fatto che questi farmaci determinano problemi somatici, ottundimento emotivo e compromissione cognitiva. ma questo modello di trattamento porta anche a molte morti premature.
Le persone con disturbo mentali gravi attualmente hanno un’attesa di vita inferiore di 15-25 anni rispetto al normale, e questo problema è andato peggiorando negli ultimi quindici anni.
Muoiono di patologie cardiovascolari, di disturbi respiratori, di patologie metaboliche, di diabete, di insufficienza renale e altro ancora; queste patologie somatiche tendono a entrare in scena, progressivamente, e a sommarsi le une alle altre, nel corso dei trattamenti a tempo indeterminato con gli antipsicotici , o con i cocktail che li comprendono“. Amy Upham
La tragica esperienza con gli psicofarmaci di Amy Upham
Amy Upham vive in un monolocale a Buffalo e, quando entro nel suo soggiorno, mi indica un tavolo pieno di carte.
“Questa sono io, grazie a questi farmaci” e mi porge una pila di documenti medici che indicano la presenza di alterazioni della massa cerebrale indotta dai farmaci, di problemi renali, d’ingrossamento del fegato e della cistifellea, di problemi alla tiroide, di gastrite e di deficit cognitivi specifici.
Amy è alta poco più di un metro e mezzo, ha i capelli ricci, castani con sfumature sul rossiccio, ha 30 anni e pesa poco più di quaranta chili.
Mi fa vedere il braccio, stringendo la pelle vicino al gomito e mostrandomi che il muscolo sottostante è atrofizzato: “E’ quello che ti può capitare di vedere negli eroinomani”.
Ha cominciato con gli psicofarmaci a 16 anni, quando ha avuto una depressione, dopo che le era stata diagnosticata la sindrome di Lyme.
Dodici anni dopo era ancora in trattamento con antidepressivi e, quando ritorna con la mente a quel periodo, è in grado di ricordare le numerose occasioni in cui gli antidepressivi hanno favorito degli episodi ipomaniacali e hanno peggiorato i suoi sintomi ossessivo-compulsivi.
Nel 2007 scelse di ridurre gradualmente e poi interrompere i due farmaci che stava assumendo e le cose, inizialmente, andarono per il verso giusto. In quel periodo, però, stava lavorando per il Dipartimento di Salute Mentale della Contea, come patrocinatore dei diritti degli altri pazienti, e arrivò una segnalazione anonima ai suoi responsabili sul fatto che lei aveva sospeso l’assunzione dei farmaci.
Poiché questo andava contro le regole del Dipartimento, Amy perse il lavoro e le venne la paranoia che qualcuno volesse danneggiarla. “Ebbi un crollo e andai in ospedale soprattutto per fuggire, per nascondermi”.
Non era mai stata ricoverata fino a quel momento, e le venne subito impostata una terapia basata su un cocktail di farmaci che comprendeva il litio.
Nel giro di pochi mesi, il suo sistema endocrino cominciò ad andare in tilt.
Il ciclo mestruale s’interruppe, la tiroide smise di funzionare e un EEG rivelò un aumento di volume del cervello.
Anche i reni diedero segni di cedimento.
Amy dovette interrompere immediatamente il litio e questa scelta scatenò un episodio maniacale.
I medici le prescrissero il lorazepam per contenere la crisi maniacale, ma questo farmaco le provocò la comparsa di esplosioni di rabbia e di impulsi suicidi.
Dopo qualche mese, nel dicembre 2008, si fece di nuovo ricoverare in ospedale dove le venne diagnosticata una intossicazione da lorazepam.
Un’infermiera le disse : “Non ho mai visto nessun altro che avesse il cervello così fottuto dal lorazepam”.
I medici passarono dal lorazepam al clonazepam, e le aggiunsero l’aripiprazolo, che però le fece venire una crisi epilettica.
Subito dopo, un medico scoprì che c’era un problema cardiologico, presumibilmente legato all’assunzione del clonazepam e così le proposero di tornare al lorazepam.
“Per la prima volta mi capitò di avere delle allucinazioni; non riuscivo a star ferma, camminavo continuamente e mi sentivo accapponare la pelle”.
La complicazioni da farmaci aumentarono al punto che, il 24 febbraio 2009, Amy fu costretta a tornare in ospedale: il suo modo di pensare era così incoerente un’infermiera le chiese “se in famiglia ci fossero casi di Alzheimer precoce”.
La maggior parte di queste vicende è documentata nel fascio di carte che Amy mi ha consegnato. Negli ultimi quattro mesi Amy ha tentato ripetutamente di interrompere il lorazepam ma, ogni volta che ha provato a ridurne le dosi, ha sofferto di esplosioni di rabbia e di qualcosa di simile a un delirio.
Mentre le restituisco le carte, mi dice di avere molta paura: “I tentativi di sospensione mi fanno stare malissimo, e io vivo sola. Sono in uno stato costante di panico, di ansia, e soffro anche di agorafobia. Non mi sento al sicuro”.